Urlo Cibulkova. Solo un successo ma è in semifinale (Crivelli). La miniera vuota della Svezia, il Paese di Borg non sa più giocare (Clerici). Bartoli: “Pensavo di morire. Ora sogno la pizza e corro a New York” (Cocchi)

Rassegna stampa

Urlo Cibulkova. Solo un successo ma è in semifinale (Crivelli). La miniera vuota della Svezia, il Paese di Borg non sa più giocare (Clerici). Bartoli: “Pensavo di morire. Ora sogno la pizza e corro a New York” (Cocchi)

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Urlo Cibulkova. Solo un successo ma è in semifinale (Riccardo Crivelli, La Gazzetta dello Sport)

Il grande dilemma si ripete a ogni Masters di fine stagione, l’unico torneo con i gironi e dunque l’unico torneo che ti consente di vincerlo anche se perdi una partita. Di più: anche se ne perdi due. E’ accaduto l’anno scorso ad Agnieszka Radwanska, la prima di sempre a conquistare le Finals con un solo successo nel round robin. Ricordate? Alla nostra Pennetta bastava conquistare un set nell’ultima partita contro la Sharapova, già qualificata, per centrare la semifinale. Flavia non ci riuscì e lasciò la qualificazione alla polacca, che poi conquistò addirittura il trofeo. Questa volta, nella parte di Aga e di Flavia, si ritrovano Cibulkova e Keys, con la slovacca che dà una spazzolata a una deludente Halep e poi si siede sulla riva del fiume in attesa del suo destino, che in realtà è nelle mani di Madison, l’americana bombardiera cui molti predicono un prossimo futuro da numero uno, ma che ancora non riesce a dare continuità a un gioco spumeggiante ma rischioso, troppo vincolato alle altalene del servizio. Contro la numero uno Kerber, già sicura del passaggio del turno, alla Keys basterebbe appunto un solo set, e invece si scioglie in pratica senza mai lottare: «Ero troppo nervosa, evidentemente non riesco ancora a gestire la pressione dei grandi momenti». “Pressione” è un vocabolo sconosciuto a Dominika Cibulkova, capace di risalire in 18 mesi da un ranking oltre il 150° posto causa operazione a un tallone, qualificarsi al Masters per la prima volta e non arrendersi a un fato di sconfitta, travolgendo la Halep con 32 vincenti a 10. Una bella esibizione di tigna, coraggio e concentrazione: «Mi definiscono lottatrice non a caso, credo di averlo dimostrato in questa partita, è una vittoria grande, grandissima, sono molto contenta di come ho giocato e di come sono riuscita a maneggiare le emozioni, sembra quasi che riesca ad esprimermi meglio quando sono sotto pressione». Domani l’attende la Kuznetsova, sicuramente prima dell’altro girone, mentre la quarta semifinalista, avversaria della Kerber, uscirà dal confronto diretto tra Radwanska, ancora lei, e Pliskova. Un testa a testa dove chi vince va avanti e chi perde saluta. E per un pomeriggio anche il Masters tornerà normale.

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La miniera vuota della Svezia, il Paese di Borg non sa più giocare (Gianni Clerici, La Repubblica)

Erano gli Anni Cinquanta. L’Italia si stava riprendendo a fatica dalla guerra, mentre della Svezia si leggevano notizie affascinanti. Era come abitare in un caseggiato rabberciato dalle bombe, vicino a una villa magnifica, con un ricco giardino che ci separava. Giovane tennista avventuroso, attratto anche dai racconti sulla libertà sessuale delle scandinave, decisi un viaggio, e fui sorpreso dalla mia conferma di tennista non meno che dalla mia fin lì incerta virilità. Sbarcato a Bastad, riuscii a raggiungere la finale, nella quale venni facilmente battuto dal vichingo Davidson (poi N.3 del mondo ) ma ebbi un amore per una liceale che mi ospitò in casa sua, genitori incredibilmente consenzienti. Ricordo che il primo direttore del Giorno, Gaetano Baldacci, non volle credere a un mio diario scandinavo, e mi convocò per suggerirmi scritti più attendibili e meno audaci. Da allora, i miei viaggi a Bastad divennero frequenti, grazie alle finali europee di Davis che italiani e scandinavi erano in grado di raggiungere. Ci andai non meno di tre volte, in panchina con i miei ex compagni azzurri Pietrangeli e Sirola. Divenuto scriba, e non più tennista per una grave malattia, non feci che ammirare non solo il comportamento civilissimo degli spettatori e dei giudici, che mai ci sottrassero una palla, a differenza di quanto accadeva a Milano, ma fui affascinato dall’assenza della vergogna chiamata tifo, sostituito da un sostegno dignitosamente patriottico. La mia simpatia per un paese tanto civile non fece che accrescersi, negli Anni 80 e 90,nel corso di ben nove finali di Davis svedesi (6 vinte, l’ultima contro di noi) e fu confermata quando iniziai a seguire lo sci, il cui pubblico non fu mai dissimile da quello del tennis. Ai tennisti Davidson, Johansson e Bergelin, finalisti di Davis, altri ne seguirono, Borg primo tra tutti, che ebbi la fortuna di intuire grande proprio a Bastad, quando a presentarmelo fu Percy Rosberg, un allenatore coetaneo che, alla mia sorpresa per un rovescio bimane mai visto osservò: “L’ha imparato giocando a hockey su ghiaccio, mi pare sbagliato modificarlo”. Proprio quel rovescio, e un non meno insolito schiaffo di diritto, furono le armi che condussero Borg ai grandi successi, una via che percorsero poi altri due Grandi, Wilander e Edberg, tanto diversi l’uno dall’altro da non attribuirne la personalità ad una scuola, quanto all’educazione sportiva e umana degli scandinavi. Ora queste felici nascite sembrano essersi arrestate, tanto che mi sono affrettato all’acquisto di un libro ‘Game Set and Match’ (Ed. Add) che me ne spiegasse le ragioni. Il libro indugia sulle vicende della fine di carriera degli ultimi tre grandi svedesi, Borg sconvolto dal fallimento dei suoi tentativi commerciali e di un matrimonio con la cantante Loredana Bertè, Wilander squalificato per uso di cocaina notturna, Edberg deciso a trasferirsi dalla Svezia in Gran Bretagna. Ma non giunge a dirci con chiarezza il perché di una scomparsa della Svezia dal mondo del tennis. Nel prossimo match, che gli svedesi disputeranno contro Israele, il numero uno sarà Elias Ymer, N. 158 ATP, nato da una famiglia etiope che, in Svezia, aveva trovato rifugio. Una delle ragioni che gli autori Holm e Roosvald elencano per spiegare il declino è l’assenza dei tornei challenger (fuorché uno solo), che rappresenterebbero le circostanze ideali in cui giovani tennisti potrebbero avviarsi alle gare professionistiche. Mancano accenni all’attività federale, a quella scolastica, e a un’organizzazione di sport-studi, simile alla Francia, che ha permesso ai giocatori di quel paese di piazzare 4 tennisti tra i primi 20, in attesa della nascita di un nuovo Noah. Non sono deluso da simili mancanze, forse inutili alle vendite del libro, quanto dalla scomparsa della Svezia da uno sport che ha spesso significato benessere e civiltà.

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Bartoli: “Pensavo di morire. Ora sogno la pizza e corro a New York” (Federica Cocchi, La Gazzetta dello Sport)

Non poteva più mangiare nulla, tranne foglie di insalata biologica e cetrioli. Poteva lavarsi solo con acqua minerale. Non poteva usare il cellulare se non con degli appositi guanti «e non più di cinque minuti, o il mio cuore iniziava a battere all’impazzata». Marion Bartoli, la campionessa di Wimbledon 2013 ha perso 30 chili e rischiato di morire per colpa di un virus contratto in Asia. Ora, per festeggiare la guarigione «quasi completa» ha deciso di correre la maratona di New York.

Marion, come sta?

Finalmente posso dire di sentirmi meglio. Quando sono stata ricoverata stavo iniziando a perdere le speranze di guarire, ma ho deciso che dovevo lottare a tutti costi per me stessa. Per la mia vita.

Lei non si è nascosta, ha parlato tramite i social e si è mostrata anche quando era in ospedale. Ha sentito l’affetto della gente?

Sono convinta che è anche grazie a loro se riesco a lottare ogni giorno per stare meglio, se riesco a curarmi con la giusta energia senza perdere mai coraggio. Gli amici più intimi e la famiglia mi sono stati davvero molto vicini e devo ringraziare anche tutti fans che in ogni modo mi hanno fatto arrivare la loro forza. Non finirò mai di ringraziarli.

Nella clinica di Merano dove è stata ricoverata, sono riusciti a capire di quale virus si trattasse e come combatterlo?

Sì, ma dopo una settimana sono stata trasferita in un ospedale specializzato nelle malattie tropicali. Lì hanno capito qualcosa di più e hanno iniziato a somministrarmi questa cura che sta funzionando bene. Finalmente riesco a vedere la luce in fondo al tunnel, ma prima ho avuto veramente tanta paura. Quando giocavo pensavo che vincere Wimbledon fosse la cosa più difficile al mondo. Ma la battaglia che sto affrontando è molto più difficile e impegnativa. Ero terrorizzata da quello che avrebbe potuto succedermi, avevo paura per il mio cuore. Andavo a letto la sera con la paura che non mi sarei mai più svegliata.

Dove ha trovato la forza di reagire e guarire?

In realtà non posso ancora dirmi guarita, ma sono sicuramente sulla buona strada per arrivare alla guarigione completa. Spero di chiudere questo capitolo per la fine di quest’anno, sarebbe il più bel regalo di Natale.

Insomma, possiamo dire che ha annullato qualche match point e ora può vincere la partita.

Mi pare un buon paragone, ho trovato la forza in me stessa. Ho pensato a tutti quelli che mi vogliono bene e ho reagito, ora guardo al futuro e a tutte le cose belle che mi aspettano. Ho progredito un passo alla volta: prima ho voluto commentare gli Us Open per Eurosport e ci sono riuscita, poi ho iniziato a pensare alla mia linea di abbigliamento sportivo che uscirà il prossimo anno. Ogni meta mi ha aiutato a fare un pezzo di strada.

Sono passati pochi mesi dal ricovero e adesso si prepara a correre la maratona di New York: un’impresa che ha dell’incredibile.

Quando ero in ospedale mi sono detta: “Se esco da questa situazione voglio fare qualcosa di grande, perché non la maratona di New York?” e ora eccomi qua, pronta a partire.

Ma nella sua condizione fisica come è riuscita a prepararsi, farà la maratona completa o solo la mezza?

No, ho intenzione di farla tutta! Grazie a un personal trainer ho adattato ogni giorno l’allenamento alle mie condizioni fisiche. E poi devo seguire una dieta specifica e molto rigida. L’alimentazione che ho adesso mi aiuta molto, è specifica per la mia malattia. Il mio virus si nutre di ciò che mangio, quindi sono poche le cose che posso ancora ingerire, ma sono quelle giuste. Faccio molta fatica a digerire e mi sogno di notte la pizza… non vedo l’ora di tornare a mangiarla. Quando succederà farò una grande festa!

Le manca il tennis?

Non mi manca la carriera da tennista ma amo ancora moltissimo il gioco del tennis. Mi piace ancora giocare qualche volta, ma quello che più desidero ora è diventare un’ottima commentatrice televisiva e stilista, ho disegnato per Fila e il prossimo anno uscirà Activebrand la mia linea sportiva da donna. Devo pensare al futuro.

Come la nostra Flavia Pennetta, lei si è ritirata al top, subito dopo aver vinto uno Slam. Rifarebbe la stessa scelta?

Assolutamente sì. Non ho nessun rimpianto. Il mio corpo non mi avrebbe più consentito di giocare a tennis, non avrei potuto fare di più. Mi piaceva giocare sui campi importanti, era bellissimo sentire l’adrenalina scorrere durante le partite più importanti, ma ora va bene così. Ora guardo la vita in modo diverso, dando ancora più valore alla salute, alla famiglia e agli amici. Queste sono le mie priorità ora, ma voglio anche aver successo nella mia nuova carriera e pensare a cosa ho ancora ho davanti. La vita è bella.

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